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Consapevolezza senza timore: ricetta trasversale

Come ho più volte dichiarato: non ci sono ricette uguali per tutti, ma sicuramente siamo tutti affetti dallo stesso male.

La società è aggredita dal subdolo virus.

Di conseguenza, l’imprenditoria è colpita dalle normative emanate per tutela della popolazione. Le limitazioni e le chiusure, assolutamente indispensabili per tutelare la salute pubblica, hanno generato, in tantissimi settori aziendali, una vera e propria paralisi, aggravata ulteriormente dal panico.
Non solo quello relativo alla paura di essere contagiati ma, imprenditorialmente parlando, dal timore di non riuscire a ripartire. Di non essere in grado di “rimbalzare”.

 

Si sta scrivendo e dicendo molto sul tema della ripresa. Si specula sulle ipotesi delle date e delle modalità di ripartenza (diversa per i differenti settori d’impresa). Si alzano cori indignati sul ritardo del sostegno economico atteso e su come queste risorse, una volta disponibili, verranno distribuite e chi ne potrà godere.
Questa incertezza e i dubbi persistenti, non fanno altro che aggravare la situazione del business in Italia che, oltre a quanto già descritto, si paralizza ulteriormente, perché titolari e collaboratori non riescono a individuare una efficace via di uscita.

Ma non tutti sono così spaventati. Ci sono voci fuori dal coro che, pur rispettando la situazione, evidenziano elementi positivi insiti nel nostro DNA imprenditoriale.

Tra gli interventi che vengono postati in rete in questo periodo, uno in particolare mi ha stimolato e mi ha fatto sentire orgoglioso di essere italiano. Mi riferisco ad un video, di quasi tre minuti, tratto da un intervento in Confindustria, peraltro in tempi non sospetti, ma quanto mai attuale. Il relatore è Andrea Pontremoli, amministratore delegato di Dallara Group che, con grande pacatezza e determinata fierezza, ha arringato il pubblico di Confindustria, con un esaltante inno al Made in Italy. In questo caso, non ha osannato il “prodotto italiano”, ma l’atteggiamento degli italiani.

Ha individuato una chiave di lettura eccezionale. Mettendo a confronto la nostra capacità di trovare soluzioni in ogni istante tramite creatività e spirito di iniziativa, soprattutto nei momenti in cui il caos regna sovrano.

Ha spiegato con molta chiarezza che, mentre il mondo imprenditoriale, al di là dei nostri confini è più concentrato sul cosa, noi siamo sempre orientati al perché.
Ha fatto un esempio tanto simpatico quanto efficace, raccontando una storiella: se un americano ricevuta l’istruzione di uscire dalla stanza aprendo una porta, trovasse la stessa aperta, si paralizzerebbe poiché l’istruzione non prevedeva questa possibilità. Non ha trovato alcuna porta da aprire. L’italiano, invece, avendo la visone della FINALITA’ del FARE, uscirebbe senza problemi, lui non si concentra sul cosa ma, appunto, sul perché!

Questi siamo noi!

Un popolo che muove verso le risposte. Un’imprenditoria che inventa la strada pur di arrivare al perché.

Quello che viviamo oggi è straordinariamente complicato. Lo è per tutto il mondo, ma gli altri sono quelli che aspettano il cosa.

Noi puntiamo dritti al perché solutivo.

Quindi, non dovremmo farci irretire da un assistenzialismo che non ci appartiene, così come, non dovremmo farci soggiogare dal panico.

Perché se c’è qualcuno in grado di uscire da “quella porta”, siamo proprio noi.
Un popolo da sempre considerato il fanalino di coda in qualsiasi classifica internazionale, ma che in realtà, ha insegnato per millenni agli altri cosa fare e perché.

 

Eppure molto spesso siamo portati ad un autocritica esasperata, scordandoci dalle nostre abilità e della nostra storia.

Anche questo fa parte delle nostre caratteristiche.

Ma questa volta, in questa situazione intricata, non dovremmo proprio dimenticare chi siamo e da dove veniamo.

Dovremmo invece impiegare la nostra energia nell’attività che sappiamo fare meglio: districare matasse.

Dobbiamo essere assolutamente proattivi e orientati alla sfida. Non possiamo avere paura, Noi no!

Per giungere a questa condizione performante, c’è un’attitudine da allenare più delle altre: LA CONSAPEVOLEZZA. Dei nostri mezzi ed anche, con onestà, dei nostri limiti.

 

Per poterlo fare, ogni imprenditore, deve guardare attraverso la sua storia personale e aziendale. Ricordarsi i tempi complicati, le scelte difficili, le gioie e gli ottimi affari, ma soprattutto, i legami.

Le strette di mano, gli accordi basati sulla fiducia, la condivisione con i collaboratori di momenti importanti. Le mani nei capelli o il sorriso sul volto.
Le innovazioni tecniche o le intuizioni commerciali. 

 

Ogni singolo istante, cifra, sentimento, successo o sconfitta costituiscono la memoria dell’impresa. Se si osservasse meglio in tutto questa amalgama emozionale potrete scovare qualcosa che lega tutto. Un ingrediente particolare, un filo rosso.
Ogni decisione, ogni sorriso e ogni lacrima sono giunte passando da quel sentire che ogni volta avete percepito. Quella è la vostra essenza imprenditoriale.
Probabilmente fatta di istintiva creatività e scarsa strutturazione?

Ma che importa!
Ciò che conta è scovarla e adeguarla al momento, potenziandola se possibile.
Il vostro spirito imprenditoriale, non imbrigliato in situazioni asettiche, bensì in organizzazioni operative. Dove non venga disperso ma esaltato.

Di questo dovremmo essere consapevoli.

Senza arroganza né timidezza, con la serenità del giusto, che sa essere LUCIDO e DETERMINATO nei momenti più complicati.

Così come ho percepito Pontremoli in quello speech.

Così come ho percepito molti degli imprenditori che in questi anni ho conosciuto.

Così come ho percepito, ancora una volta, il mio sentirmi orgogliosamente italiano.

 

Stefano Pigolotti

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