Il mercato degli ultimi decenni e ancor più degli ultimi anni è cambiato profondamente e continua a cambiare, a una velocità storicamente mai registrata prima. Digitalizzazione, intelligenza artificiale, globalizzazione, hanno inciso su tutto e ci proiettano in una realtà estremamente dinamica e per molti versi imprevedibile e inafferrabile.
Le nuove conoscenze e competenze, le nuove prospettive e le nuove esigenze si traducono, necessariamente, in una nuova mentalità.
Lavoro da remoto, smart working, telelavoro, ad esempio, sono espressioni che hanno ridisegnato la stessa impostazione spazio-temporale della prestazione lavorativa.
L’evoluzione digitale del resto ha cambiato il modo di lavorare e ha portato strumenti e possibilità ben diversi da quelli del passato.
Questo ha comportato e comporta una riorganizzazione aziendale e, a monte, un ripensamento dei modelli produttivi e delle relazioni dell’azienda con i lavoratori.
Naturalmente substrato di un mercato mutato sono la cultura e il costume attraversati da un fermento senza precedenti e da una trasformazione che ha radicalmente rivisto le concezioni di lavoro e di vita, le aspirazioni, le aspettative e le modalità di approccio alla realtà professionale e a quella personale, familiare e sociale.
L’ingresso nel contesto lavorativo dei Millennial e della generazione Z ha reso obsoleti i principi che valevano per i loro genitori e i loro nonni.
La Felicità tra certezza e incertezza
Completamente sorpassata l’idea del posto fisso per tutta la vita, oggi sono altre, le preferenze e le priorità. Globalizzazione, rivoluzione digitale, progresso tecnologico hanno mille risvolti pratici e li viviamo ogni giorno: si sono ridotte le distanze e sono aumentate le possibilità di viaggiare; tramite internet siamo connessi in tempo reale con la Terra intera; abbiamo accesso a un tesoro di informazioni pressoché illimitato.
Il rovescio della medaglia avvertito è una sorta di instabilità e di fatica emotiva:
-l’incertezza lavorativa;
-la necessità di essere in perenne formazione e aggiornamento;
-la necessità di acquisire e esercitare flessibilità e di essere disponibili a spostamenti/cambiamenti.
A fronte di questa instabilità e di questa fatica emotiva il lavoratore di oggi non concepisce più il lavoro come dovere fine a se stesso, non vuole rinunciare alla qualità della sua vita, non è disposto a “qualsiasi sacrificio” per un ruolo lavorativo. Sostanzialmente ha spostato l’asse dei suoi desideri e dei suoi bisogni primari: preferisce uno smart working, per intenderci, a uno stipendio più elevato.
Cosa cercano i giovani lavoratori?
La nuova generazione non antepone il lavoro ad aspetti che hanno a che vedere con la vita privata, dà un peso sempre maggiore alla cosiddetta work life balance.
Vuole fare le vacanze, mantenere un hobby, vedere gli amici, praticare sport.
Vuole tempo. Per tutto questo, per stare con partner e figli, per non accumulare stress.
Il labile e complesso concetto di felicità sul lavoro è legato a doppio giro a una delicata serie di elementi e situazioni: condizioni e ambiente di lavoro, opportunità di godere di orari flessibili per non dover rinunciare a troppi momenti della vita personale, benefits o azioni di supporto (asili nido aziendali, palestre interne, previdenza aziendale,…).
La felicità sul lavoro è strettamente collegata anche al riconoscimento delle capacità, alle occasioni di formazione, agli avanzamenti di merito. Insomma il nuovo mercato sembra tradursi in un delicato equilibrio da trovare tra Azienda e personale.
Per le Aziende è essenziale, favorire un terreno di felicità sul lavoro. Lo è perché è l’unica vera leva di motivazione e produttività. D’altra parte si profila come l’esigenza più forte e diffusa tra le giovani generazioni in termini di aspirazione e orientamento.
Probabilmente, messi in discussione i tradizionali impianti di lavoro e di forza tra le parti, l’approccio alla gestione delle Risorse Umane e della felicità potrebbe profilarsi come una tendenza a una generale umanizzazione del lavoro.
La sfida?
Probabilmente si gioca sul confine dei costi e dei risultati: la bilancia non può essere troppo…sbilanciata, dall’una o dall’altra parte.
Stefano Pigolotti